16 apr 2020

Pillole d’arte #15: 10 cose da sapere su Sergio Padovani

Tratto da Alessandra Redaelli - 15 Aprile 2020 - espoarte

Complessa, coltissima e intrisa di tradizione, è la pittura di Sergio Padovani al centro di questa nuova Pillola d’arte. I suoi dipinti ci parlano lingue antiche: quella di Hieronymus Bosch e di Pieter Bruegel – potente, corposa, visionaria – ma anche quella dell’affresco medievale, suggerito qui dalla materia scabra e da cromie ruvide, abrasive. Una padronanza del mezzo che appare ancora più sorprendente quando si scopre che Padovani è stato musicista e poi si è dedicato alla pittura in un secondo momento, con una prima mostra nel 2007, approcciandola da autodidatta. Abitata da un’umanità dolente e penitente, soggetta a torture misteriose sotto cieli di una bellezza agghiacciante, su sfondi infuocati da incendi lontani e allagati da paludi dalle luminosità sinistre, la pittura di Padovani possiede un’intrinseca forza narrativa che ci fa percepire ogni tela come il capitolo di una lunga vicenda tortuosa e indecifrabile. Streghe e santi, ibridi tra umani e bestie, nudità indifese, macchinari misteriosi, animali fantastici, strani esseri volanti, lievi figure asessuate che mostrano enigmatici sorrisi, dannati e risorti inscenano sotto i nostri occhi riti incomprensibili e danze macabre su scenari gremiti di dettagli che l’occhio segue quasi impazzito, impossibilitato a dare un ordine a ciò che nasce evidentemente come un’urgenza interiore dell’artista, uno stream of consciousness di cui lui solo ha la chiave. Una marcia incalzante, mistica e solenne, che ci trascina e ci commuove anche se non siamo in grado di comprenderne l’obiettivo, declinata nelle ombre fonde del bitume, negli azzurri smaltati, nei rossi ardenti, nelle terre, nell’oro, nella luce livida delle carni. Sotto a tutto ciò, all’espiazione e alla sofferenza, ai corpi trafitti e alle teste di maiale mozzate, resta la promessa mantenuta di una grande bellezza, che trasforma il dolore in armonia e incanto dello sguardo.

1 – Definisciti con tre aggettivi.
Estremo osservatore, istintivo, visionario.

2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Non credo di averlo mai capito. Non perché non percepisca la mia appartenenza alla categoria, ma perché credo sia un bisogno altrui di identificazione o una giustificabilissima necessità interiore di appartenenza alla classe. Un tempo la semantica di questa parola aveva un significato diverso e forse allora mi sarebbe interessato riconoscermici. Adesso preferisco pensare a me, non per umiltà ma, piuttosto, per egoica comodità, semplicemente come a un pittore.

3 – Hai scelto la pittura perché…
Perché c’è sempre stata lei a riempire tutto e nessun altro!

4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
La verità è che sono troppe. Infinite. Una di quelle di cui non smetterò mai di “ascoltare” la grandezza totale è La Deposizione dalla Croce di Rogier van der Weyden.

5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Quando intuisco il percorso da seguire nel quadro che sto facendo.

6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
Ci si applica all’ispirazione. Non credo a chi si sente pervaso dal sacro fuoco dell’arte. Credo a chi immola se stesso al raggiungimento di quelle condizioni abili a “riconoscere” cos’è un evento, un pensiero, una visione, un errore, un atto ispirativo.

7 – Chi eri nella tua vita precedente?
L’ho avuta già una vita precedente: ero un musicista.

8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Lo studio “matto e disperatissimo”, il bisogno di ostinatamente sperimentare sempre e comunque nuove direzioni, il non voler mai vendersi.

9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Realizzare il mio quadro migliore. E spero di non realizzarlo mai.

10 – La bellezza salverà il mondo?
Mi chiedo invece se il mondo salverà la bellezza.


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