03 nov 2019

Federico Lombardo, lo spettacolo del quotidiano come metafora del fare pittorico

Articolo di Alessandro Riva tratto da Italian Factory Magazine, 29 ottobre 2019

Il lavoro di Federico Lombardo si muove da tempo lungo due diverse direzioni solo apparentemente divergenti dal punto di vista stilistico, che prendono entrambe le mosse dalla ricerca originaria dell’artista sulla figura umana, sulla permanenza dell’iconologia classica nella sensibilità contemporanea, e sulle riflessioni relative al mutevole rapporto tra reale e virtuale (realtà concreta vs ambiente virtuale, pittura vs tecnologia, etc.) nell’era dell’onnipresenza dei mezzi tecnologici e della progressiva sostituzione, in moltissime attività produttive e creative, degli elementi materiali con quelli immateriali. Da un lato, infatti, l’artista ha messo a punto un linguaggio scabro ed essenziale, che, partendo da un’indagine sulla figura umana, ha via via perduto, in maniera quasi inavvertibile a prima vista, la materialità del processo pittorico tradizionale in virtù di nuove sperimentazioni all’interno di un linguaggio totalmente digitale. Dall’altra, ha sviluppato un complesso apparato compositivo e iconografico, in grado di mescolare, con sorprendente armonia e coerenza formale, frammenti di realtà contemporanea con riferimenti alla grande pittura italiana delle origini, quasi lo sguardo del pittore riuscisse, dopo anni e anni di sperimentazioni e di studi sulla pratica pittorica, a trasportare il caos, il disordine estetico e l’insensatezza del vivere contemporaneo all’interno di un “codice” compositivo classico.

on c’è alcuna retorica della “persistenza”, e men che meno quel gusto, quella compiacenza e rivendicazione della citazione, di stampo puramente postmodern, che ha caratterizzato molta pittura cresciuta e giunta a maturazione nel corso degli ultimi decenni del secolo passato (pensiamo, in particolare, ai vari anacronismi, citazionismi, supermanierismi etc., ma non solo), nell’approccio al lavoro pittorico di Federico Lombardo: quando il pittore cita, sembra semmai farlo più per riflesso automatico, per necessità strutturale quanto di imprescindibile automatismo della memoria (memoria non solo mentale, ma anche gestuale, compositiva, istintuale), quasi le stesse reminiscenze profonde dell’artista, quelle che regolano le sue connessioni intellettuali, i suoi ricordi ancestrali, i suoi ritmi interiori, i suoi studi, il suo aver viaggiato, studiato, visto e assimilato, nonché il muoversi stesso della mano in sintonia col pennello che disegna, progetta, delinea, “vede” anticipatamente e infine stende il segno e il colore sulla tela, avessero essi stessi, e con loro tutti quei gesti e processi accessori e istintuali, la capacità di rendere fatalmente apodittico, chiaro, evidente, armonico anche, lo spettacolo del quotidiano che ci troviamo ogni giorno a vivere nel corso della nostra esistenza.

Sono, semmai, le connessioni, volute o meno, consapevoli o meno, che la pratica pittorica stessa porta con sé, così come certe soluzioni matematiche si affacciano alla mente dello scienziato senza che il suo cervello ne sia nemmeno più conscio a livello razionale, a “costruire” l’architettura profonda, le simmetrie, i riferimenti inconsci e latenti di ogni singolo quadro. Quadro che, di rimando, sembra darsi accuratamente da fare nello sfuggire a qualsiasi classificazione, a qualsiasi interpretazione simbolica: mancando una chiave esegetica univoca, come avveniva nella tradizione della pittura moderna, sembrano infatti a prima vista venire a mancare anche le basi di comprensione e di interpretazione dell’opera, che non siano quelle, appunto, della pura osservazione dei ritmi e dello spettacolo multiforme e spesso insensato del nostro vivere quotidiano. Ma è appunto, forse, proprio nell’idea di “spettacolo” del quotidiano che la chiave interpretativa non tanto delle singole opere, quanto del corpus di lavoro dell’artista nel suo complesso (o per lo meno di una delle sue linee principali di lavoro), assume un senso e un punto di coesione tra classicità e contemporaneità, tra iconologia classica e dialettica del contemporaneo. Sono infatti i legami occulti, segreti, tra un quadro e l’altro, tra una scena rappresentata all’altra, alle volte così mascherati da sembrare quasi invisibili, altre volte invece così evidenti e macroscopici da far pensare a lavori legati da un filo conduttore narrativo sotterraneo che passa indistintamente da uno all’altro senza soluzione di continuità, come in una sequenza narrativa unica o in un’inesausta fiction cinematografica (secondo il canone delle serie tv, oggi diventate modello narrativo egemone della cinematografia contemporanea), a fare collante e da richiamo inconscio, nel lavoro dell’artista, all’altrettanto mutevole, ma, qualora lo si voglia leggere più approfonditamente, anche altrettanto emblematico a livello archetipale e simbolico, flusso narrativo della vita quotidiana.

Ma nel flusso, nel dipanarsi dei medesimi elementi, vuoi latamente narrativi, vuoi ambientali, vuoi luministici, tonali, di atmosfere, tra un quadro e l’altro dipinti da Federico Lombardo, ci sono, a saperle intravedere e leggere sotto l’impalcatura aerea e leggera (fluida, appunto) della “vita contemporanea”, con i suoi accidenti e le sue bizzarrie, alcune strutture portanti, alcuni elementi, siano compositivi o simbolici, che richiamano, si riferiscono e attivano altri ambiti della nostra memoria, della nostra conoscenza, del nostro bagaglio immaginario e iconografico sotterraneo. Stiamo parlando degli ambiti in cui si muovono le nostre cognizioni, siamo o meno noi stessi allenati a riconoscerle e distinguerle, riguardanti l’impianto dei grandi cicli pittorici antichi e pre-rinascimentali, delle strutture complesse delle grandi narrazioni quattro e cinquecentesche, anche dei movimenti centripeti e centrifughi dei grandi teleri barocchi. Come non riconoscere, allora, in quadri come Passeggiata al Foro, S.Paul, Scalinata, Porta d’Agropoli, Piazza del Popolo, Palazzo Rosso, elementi e richiami vuoi alla misurata monumentalità delle figure di Piero Della Francesca (dove le figure “paion pensate a simiglianza dell’architettura”, come scriveva Roberto Longhi), vuoi all’ossessione matematica sua, e a quella di Raffaello: pensiamo all’insieme spaziale, ritmico ed estremamente articolato, di composizioni quali il suo Sposalizio della Vergine, e a quello, precedente, del Perugino, con le figure principali, di fronte al tempio, che si animano in relazioni, sguardi e proporzioni geometricamente impeccabili, quasi a fare del loro intrecciarsi vicendevole una perfetta metafora non solo dello spazio fisico e umano, ma di quello cosmico e universale: e come non vedere, nei recenti quadri di “tranches de vie” di Federico Lombardo, in quel cogliere un rapporto misterioso, archetipale, tra figure nello spazio e presenze architettoniche, tra gruppi di persone intente in misteriose conversazioni e sotterranei legami reciproci, che ricordano la perfetta geometria, nelle relazioni, nel rapporto tra figura umana e spazio pittorico, della pittura tre e quattrocentesca. Dietro la “normale” attitudine di una qualsiasi mattinata italiana, tersa ed asciutta come in un quadro di Piero Della Francesca o in un affresco di Masaccio, coi monumenti che si stagliano alle spalle dei protagonisti del quadro – ragazzi, ragazze, studenti con lo zainetto di scuola, turisti, giovani mamme, bambini intenti a giocare, persino un cane –, riprese dall’artista come i frames di un’inesausta saga pittorica contemporanea sospesa tra l’impressione di un eterno presente ed echi, vaghi quanto persistenti, di molta pittura antica, ma anche di molta cinematografia e pittura contemporanee, c’è innanzitutto l’idea di rappresentare, per simboli, per accenni, per toni, per segni, le linee sotterranee del grande spettacolo della vita, che è vita di oggi ma che è la vita nel suo significato profondo, più autentico, immutabile nelle sue strutture occulte e profonde.

David Hockney, cui la pittura recente di Lombardo sembra dovere molto per la sinteticità del segno, la classicità della rappresentazione e soprattutto per la pulizia e la trasparenza del colore, la nitidezza e la geometria della composizione, oltre che per i continui riferimenti sotterranei alla pittura classica italiana, e, per la potenza della luce, alle sperimentazioni di molta pittura impressionista e postimpressionista, ha detto una volta in un’intervista: “Nel momento in cui apponi due o tre segni su un pezzo di carta, ottieni relazioni. Leggiamo tutti i tipi di cose in simboli. Puoi suggerire paesaggi, persone e volti con pochissimo. Tutto dipende dalla capacità umana di vedere un segno come una rappresentazione”. Pare a volte di riconoscere appieno questa attitudine, nell’opera di Lombardo, nel suo cercare in pochi segni, in una tavolozza sempre simile a se stessa, luminosissima, quasi nutrita esclusivamente di luce, il bandolo di una narrazione che sembra procedere per intuizioni, per accenni, per lievissimi e poetici giochi di atmosfere e di rapporti tra diverse scale e intensità della luce.

Quelle dipinte da Federico Lombardo sono, infine, scene apparentemente normali, quotidiane, come tante: ma che, sottotraccia, sembrano sempre nasconde strani pensieri non detti, relazioni opache, frasi lasciate in sospeso, misteriose inquietudini: come se la zona più fonda ed oscura della nostra memoria, dei nostri pensieri e delle nostre azioni si tramutasse, per un momento soltanto, nel suo esatto opposto: nella pura luminosità di un istante, un istante eterno e luminoso come quello di un mattino d’inverno, del richiamo d’un animale, di un canto devozionale. Quasi che l’ultima frase, impressa nella memoria di milioni di lettori come fosse scolpita sulla pietra, quell’esclamazione drammatica ed estatica, nel finale di uno dei più poetici e belli tra i romanzi brevi di Dostoevskij, Le notti bianche, trovasse nella pittura di Federico Lombardo un suo strano contraltare pittorico: “Dio mio! Un attimo di assoluta beatitudine! È forse poco per colmare la vita di un uomo?”. Fatta grazia all’iperbole narrativa, possiamo in fondo dirlo anche noi, che no, non è poco davvero: è il punto di arrivo, e poi di nuovo di partenza, ogni volta, con pazienza, genio e costanza, della buona, ottima pittura d’ogni longitudine e d’ogni tempo.

www.italianfactory.info/portale/index.php/2019/10/federico-lombardo-lo-spettacolo-del-quotidiano-come-metafora-del-fare-pittorico/

Archivio News

Ufficio stampa

T. +39 392 5114456
press@thebankcollection.com

Archivio